giovedì 7 gennaio 2010

Replica

Ho deciso di scrivere un post anzichè replicare all'interessante post di Antonella.
Sono completamente d'accordo col prof, anche a me questo post ricorda la lettera di Celli. Vorrei solo coinvogere chi ne avesse voglia in un gioco: c'è qualcuno che abbia un'idea di quello che si possa fare? I problemi che annerbano l'Italia sicuramente dovrebbero essere affrontati e risolti dall'alto, ma nel nostro piccolo quotidiano, possiamo dare un minimo contributo per migliorare la società? Piccoli gesti quotidiani (rispettare le file, cedere il posto ad anziani ecc.) o sfide difficili ma da affrontare con coraggio (educare i propri figli nel migliore dei modi o perlomeno mettercela tutta) serviranno a qualcosa? Personalmente sono scettico ma speriamo: che costa tentare?

Nella prefazione di "Malatempora" Giovanni Sartori definisce l'Italia come un paese disossato, senza vertebre, che al momento della prova non reagisce, bensì subisce. Tutti sottomessi e via dietro al più ricco, poco importa di che ricchezza si tratti o di come l'abbia fatta. E' chiaro e naturale che un padre in un contesto del genere inviti i propri figli ad andarsene verso mete dove possano essere valorizzati.
Guardare ciò che ci circonda a volte fa veramente schifo come schifo fanno certe frasi populiste del tipo "dovrebbero essere i padri come Celli ad andarsene". Fanno parte, come dice il prof, delle chiacchiere che portano solo confusione.

lunedì 4 gennaio 2010

Stanley

Se parliamo di cinema non possiamo assolutamente fare a meno di menzionare Stanley kubrick.



Regista statunitense. Durante gli studi liceali, negli anni '40, si appassiona di fotografia e riesce a entrare nell'équipe della nota rivista «Look». Nel '50 autoproduce e realizza il suo primo cortometraggio, il documentario Day of the Fight (Giorno della lotta) dedicato a un pugile; la RKO lo compra e gli commissiona un altro documentario, Flying Padre, su un prete «volante» che si sposta a bordo di un biplano. Con il finanziamento di amici e parenti, riesce a realizzare il suo primo lungometraggio, Fear and Desire (Paura e desiderio, 1953), opera un po' approssimativa ma originale per l'astrattezza della situazione narrativa, in cui un drappello di soldati non meglio identificati affrontano indefiniti nemici in una metaforica foresta, per rendersi conto, una volta sterminatili, che hanno i loro stessi volti. Il tema del doppio ritorna nel successivo Il bacio dell'assassino (1955), anch'esso autoprodotto e girato in venti giorni, la cui narrazione è strutturata sul modello della fiaba – il principe che salva la bella dall'orco –, ma dove spazio e tempo subiscono una frantumazione in situazioni nelle quali il protagonista si frantuma a sua volta nella sua doppiezza e ambiguità psicologica. In seguito, K. disconosce questi suoi primi film a causa della loro imperizia e della presunta banalità di alcuni cliché di genere che ancora ne soffocano gli impeti più originali; in essi, però, sono già presenti molti elementi che si riveleranno in seguito ossessioni formali e tematiche costanti del suo cinema. Il sodalizio con il giovane produttore James B. Harris gli offre l'occasione di girare Rapina a mano armata (1955), che passa alla storia per la sua struttura originale, costituita da continui salti temporali all'indietro. I protagonisti costruiscono un complesso meccanismo di ingranaggi, necessari alla riuscita della rapina del secolo, che finiscono col coincidere con gli ingranaggi della narrazione filmica. Intricata è anche la rete infinita di simmetrie disegnate in Orizzonti di gloria (1957), contestato film antimilitarista sulla prima guerra mondiale, di cui va ricordata la drammatica sequenza dell'interminabile carrellata nella trincea, mentre Kirk Douglas passa in rassegna i suoi soldati che si preparano ad andare incontro alla morte. La collaborazione con K. convince Douglas, questa volta in veste anche di produttore, ad affidargli – in sostituzione di A. Mann – la regia di Spartacus (1960), kolossal ambientato nell'antica Roma, che divulga un po' grossolanamente lo schema marxista della lotta di classe e che si può considerare l'unico film non partorito dalla sua mente. K. torna a temi e stili a lui più abituali con Il dottor Stranamore, ovvero: come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba (1963), commedia nera di fantapolitica e satira farsesca «swiftiana», incentrata sulla metafora sessual-militare in cui lo strumento del potere (la bomba-fallo) rivela l'impossibilità di dominare il mondo ma soprattutto sé stessi. L'omonimo romanzo di V. Nabokov (quasi tutti i film di K. sono adattamenti di opere letterarie) ispira Lolita (1962), in cui torna il tema del doppio. Il grande assente del film è l'erotismo maniacale e pedofilo superficialmente rimproverato allo scrittore; assente perché metafora del vuoto che «riempie» la psiche del protagonista Humbert Humbert. Il successivo 2001: Odissea nello spazio (1968) rivoluziona i canoni della fantascienza cinematografica con il suo viaggio al di là di ogni limite interpretativo della realtà effettuale. Ideale sintesi della storia dell'umanità e della sua evoluzione, con il suo simbolico e misterioso monolito nero, 2001 rappresenta la sua opera più filosofica e più astratta, ed evidenzia in maniera spettacolare e drammatica l'impossibilità di ogni interpretazione univoca e assoluta dell'esistenza umana. Nello sguardo finale del feto rivolto verso gli spettatori permane l'enigma irrisolto della vita-morte dell'uomo. Altrettanto scalpore desta Arancia meccanica (1971), il suo film più controverso a causa dell'estrema rappresentazione della violenza, esaltata dall'uso di obiettivi grandangolari e da una fotografia dai colori particolarmente aggressivi. Arancia meccanica, liberamente tratto dal romanzo di A. Burgess, è anche la storia di una rieducazione forzata del protagonista ai canoni etici di una società che per correggere la sua devianza finisce per privarlo della libertà e commettere analoga violenza nei suoi confronti. Come lo stesso K. ha dichiarato: «L'idea centrale del film riguarda il problema della libertà di scelta. Se veniamo privati della possibilità di scegliere tra il bene e il male perdiamo la nostra umanità?» L'ondata di emuli del protagonista Alex/M. McDowell, e lo scalpore che investe l'opinione pubblica internazionale convincono il regista a ritirare il film dalla circolazione. K. torna poi al secolo della Ragione, e quindi alle origini della società e del pensiero occidentale odierno, con Barry Lyndon (1975), sontuoso film in costume con un uso particolarmente espressivo dello zoom e dell'illuminazione naturale. Con Shining (1980), tratto dall'omonimo romanzo di S. King, si cimenta, a suo modo, con il genere horror impiegando per la prima volta in maniera sistematica e fortemente espressiva l'innovativa steadycam che gli permette di seguire J. Nicholson e il figlioletto nei labirinti dell'Overlook Hotel, angoscioso luogo di confine con il lato oscuro della psiche umana. Full Metal Jacket (1987) è invece l'occasione per cimentarsi con un'altra guerra, quella del Vietnam. Strutturalmente è diviso in due parti: nella prima seguiamo l'addestramento e l'educazione (anche in questo caso forzata e violenta) dei marine alla disciplina militare; nella seconda assistiamo allo smontaggio fisico e ideologico della macchina da guerra occidentale contro un nemico ancora una volta invisibile. Bisogna attendere undici anni per il lavoro successivo di K., il quale nel frattempo lavora al progetto di A.I. Intelligenza artificiale, che per la sua incredibile complessità è costretto ad abbandonare (sarà ripreso e terminato da S. Spielberg). Eyes Wide Shut (1999, liberamente ispirato a Doppio sogno di A. Schnitzler), interpretato da N. Kidman e T. Cruise, è ambientato in una New York ricostruita interamente negli studi inglesi di Shepperton. Rinviando più volte l'uscita del film (che viene distribuito postumo) e alimentando così le aspettative del pubblico sull'erotismo promesso da un accorto e calcolato battage pubblicitario, Eyes Wide Shut ne frustra programmaticamente le speranze coinvolgendolo nello stesso cortocircuito psichico che intrappola il protagonista nel suo picaresco vagabondare notturno. Maniaco della perfezione, esigente sul set, assoluto padrone di ogni fase della realizzazione dei propri film che spesso sceneggia, gira e monta lui stesso, K. ama giocare sulle ossessioni, sui meccanismi ludici, sulle simmetrie perfette: il suo cinema forma una fitta rete di rimandi alle altre arti – pittura, letteratura, musica, teatro, architettura – costituendo una sintesi estetica e una summa poetica come pochi altri nella storia del cinema.

CONSIDERAZIONI

Fino ad ora ho utilizzato (poco) google, you tube, wikipedia e poco altro come fonte di informazione o magari per togliermi una curiosità. Il mio rapporto con la tecnologia era paragonabile a quello di un uomo primitivo che si trovasse alla guida di un concorde e, quando ho saputo di questo esame, o meglio della sua modalità: creare un blog!? Sono andato in crisi completa: ho addirittura litigato con mia moglie che, informaticamente molto più esperta di me si rifiutava o quasi di darmi una mano. Andiamo per ordine. Le storie dell'assignment n. 5 bastano da sole a far capire l'importanza delle oer. La cosa che più mi ha colpito (oltre chiaramente all'utilità che ne è derivata) è la bellezza dell'insegnante o scienziato che mette il suo sapere a disposizione di tutti dando oltre che nozioni di indubbia utilità un esempio sociale che, se seguito, porterebbe sicuramente ad un miglioramento della società stessa.
Non so perchè ma tutto ciò mi fa venire in mente alcuni passi di un'opera: "I sepolcri" che considero importantissima proprio per l'insegnamento di civiltà che ci offre
"..Sol chi non lascia eredità d'affetti poca gioia ha dell'urna...."

L'idea di sentirsi in tutto questo in qualche misura partecipe è quella che poi fa sbloccare:
"L'oer potrebbe essere quella di Simonetta sul pensiero di Kant."
Il non farsi imprigionare dal concetto di contenuto, curiosare alla ricerca di quella spiegazione che a noi è più congeniale indipendentemente da dove venga ha qualcosa di filosofico.

Conclusioni
No, prof, il suo corso non mi ha insegnato a ben utilizzare il computer o a districarmi (perlomeno non velocemente) tra i social networking, ma ha fatto qualcosa di più importante:
  1. Adesso so che certe cose esistono e per qualsiasi evenienza sia essa di lavoro o di semplice sfizio posso utilizzarle e imparare a utilizzarle sempre meglio.
  2. Ha trasformato un'autentica idiosincrasia in curiosità.

L'idea geniale di ribaltare completamente alcuni concetti didattici quali copiare: "Se siete in difficoltà chiedete ai vostri compagni, a chiunque, come ultima scelta a me" quasi ti "obbliga" ad interessarti: se il docente ti incuriosisce la materia che insegna ti interessa!.

E' difficile dirlo senza sembrare compiacente, ma di tutto questo io la ringrazio.